Il tempo che faceva di Aldo Boraschi, edizioni AltreVoci
Senzaunnome è un paesino in area ligure tra monti e mare. Qui vive Gelinda Rustichetti, una donna indipendente che ha trascorso la sua vita a gestire un bar nel piccolo borgo. I suoi gelati erano spettacolari e tutti li apprezzavano. Un giorno però decide di lasciare il bar in gestione a cinesi e di allestire un furgoncino per continuare la sua attività di gelataia. Lo potrà fare con meno impegno, ancora per qualche anno, finché non si ritirerà in una casa di riposo. Durante i suoi spostamenti in camioncino incontra Beata Nocentini e il fratello minore Primo. La storia di Beata è triste. Dopo una caduta da piccola che le ha procurato una leggera lesione cerebrale, vive trascurata dalla madre e considerata dai suoi concittadini come la scema del villaggio. Solo il fratello la protegge e naturalmente lo farà Gelinda, appena ne intuisce l’animo delicato e sensibile. Tra le due generazioni nasce così un ponte che creerà affetto e complicità.
Il tempo che scorre
Il racconto è visto attraverso gli occhi di Gelinda, ormai anziana che vive in una casa di riposo. Qui le fanno visita la “badante” Mirca e i due giovani Beata e Priamo. Gli eventi narrati si snodano tra la seconda metà del Novecento e l’inizio del nuovo millennio. Incontriamo gli amici di Gelinda, Hamid e Franco, e conosciamo le sue passeggere avventure amorose che lasceranno però una lunga traccia che cambierà addirittura la sorte del paese. Gelinda ha tenuto dei diari dove annotava la sua quotidianità e li lascia in eredità a Beata assieme alle ricette dei suoi gelati che le ha amorevolmente insegnato. Gelinda e gli altri anziani vivono di racconti in un tempo in cui la tradizione orale è venuta meno e rendono partecipi gli altri della storia vissuta di persona. Spesso i loro resoconti non hanno una data precisa, i ricordi si sfumano, ma quel che è certo è che ciascuno ricorda bene “il tempo che faceva” in quel momento. La perdita del racconto, la fruizione veloce, istantanea delle notizie rischia di strappare le radici delle generazioni di oggi e di domani e di renderle prive di un passato. Gli spensierati anni ’60 sembrano così lontani visti con gli occhi di oggi, eppure così vivi e vivaci e forieri di novità.
Beata e Gelinda
Beata e Gelinda hanno un delicato rapporto quasi da nonna e nipote. Tra le due c’è un’affinità e una sintonia che le rende care e familiari l’una all’altra. La narrazione procede con ritmo lento, avvolgendo poco per volta il lettore nella storia del paesino che ha perso la documentazione della propria storia e che è simile a mille altri piccoli paesini dove tutti si conoscono e la vita di ciascuno si intreccia a quelle degli altri.
La scrittura è scorrevole, velata di ironia, i personaggi ben delineati, tridimensionali nelle loro peculiarità. Se dovessi pensare a un parallelo cinematografico penserei a Chocolate o a Pomodori Verdi fritti alla fermata dell’autobus.
Un libro piacevole da leggere e con spunti di riflessione interessanti.
Sito dell’editore: AltreVoci Edizioni