La notte bianca
La notte bianca

La notte bianca

La notte bianca di Mo Malø, edizioni Piemme

notte biancaIl capitano della polizia di Copenaghen, Qanaaq Adriensen, è in trasferta a Nuuk, capitale della Groenlandia, nella terra degli Inuit. Le sue origini si perdono proprio lì, adottato a soli tre anni, dopo che i suoi familiari erano stati vittima di una fatale aggressione, è cresciuto in Danimarca e ha seguito la carriera della madre adottiva in polizia. Il caso che gli hanno affidato è decisamente insolito. Tre operai di una compagnia che si occupa di trivellazioni petrolifere sono stati uccisi. Quello che è strano è il come. I loro corpi infatti sono stati straziati dagli artigli e dalla mascella di un orso polare che però non ha lasciato nessuna traccia organica. L’apparenza è di una macabra messinscena e la domanda sorge spontanea: chi e soprattutto perché? Gli omicidi sembrano non fermarsi e quando raggiungeranno il piccolo centro di Qanaaq, che ha lo stesso nome del capitano, il poliziotto dovrà fare i conti con il proprio passato. Qanaaq e il suo fedele aiutante, l’ispettore Apputiku Kalakek risolveranno il mistero tra agguati e inseguimenti nella lunga notte artica.

Groenlandia in salsa francese

Il libro è corposo, oltre cinquecento pagine, come ormai quasi tutti i thriller. L’ambientazione è insolita, anche per un giallo nordico scritto per inciso da un francese (sotto pseudonimo), tra i ghiacci artici e gli Inuit.

Le atmosfere gelide e buie ci portano in un mondo a noi alieno, dove anche la lingua ha un suono strano, quello del kalaallisut, la lingua groenlandese che neppure il protagonista, cresciuto in Danimarca, riconosce. Una lingua che non parlano in molti e che sembra destinata a scomparire come tutta una cultura. E il tema che fa capolino sullo sfondo è quello della ricerca di indipendenza di un popolo sommato alle proteste ambientaliste per lo sfruttamento dissennato delle risorse.

Imaqa

Ci immergiamo in una terra poco conosciuto, con le sue tradizioni, le sue abitudini, il suo folklore. Facciamo conoscenza della cultura e della lingua inuit e ne vediamo gli sforzi per sopravvivere in un contesto davvero difficile e inospitale, talvolta ai limiti delle possibilità umane. Come ne Il senso di Smilla per la neve comprendiamo quanto sia importante fare esperienza delle mille forme che possono assumere vento ghiaccio e neve e dei mille trucchi per resistere alle continue sfide che gli elementi pongono all’uomo. Il tutto intrecciato a un fatalismo atavico condensato nella parola imaqa, forse.

I personaggi attorno a Qanaaq hanno ruoli di sostegno come Apputiku o di opposizione, come la fredda Rikke Engell a capo della polizia locale, ma l’assoluto protagonista è il capitano, l’inuit ritornato da straniero nella sua terra natale e in cerca delle proprie origini. Quello che scoprirà gli mostrerà un lato inedito del suo passato e gli permetterà di far luce sulla sua famiglia.

Il mistero sia familiare che investigativo si scioglierà solo alla fine in un intreccio di motivazioni indipendentiste, politiche, economiche e di complesse faide tra fratelli. E, come sempre, il colpevole è chi meno si sospetta…